lunedì 28 settembre 2009

Il potere

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ANALISI DEL FILM

Il film “Il potere” di A. Tretti nonostante gli iniziali apprezzamenti alla mostra di Venezia del ’72 non riuscì mai a pervenire al grande pubblico, rimanendo poco più che un film per circoli culturali. Quest’opera è stata ostracizzata probabilmente a causa della tesi non nuova ma scomoda e troppo diretta che presenta: marxianamente, il potere più vero e forte è economico mentre il potere politico è sovrastrutturale e, quindi, è strumento in mano di chi controlla la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Il film illustra le origini e le manifestazioni del potere attraverso il tempo. Il regista sottolinea come il potere non cambi ma rimanga sempre nella mani di soliti pochi potenti; questi sono inscenati da Tretti attraverso tre attori mascherati de fiere, un leone, una tigre e un leopardo che rappresentano rispettivamente il potere militare, commerciale e agrario. Perché Tretti ha scelto proprio questi tre animali? La scelta non è casuale; il leone, infatti, l’animale aggressivo per eccellenza, è il potere militare, che nell’affrontare la conflittualità sociale predilige la violenza come unica soluzione possibile.
Caratterizza questo personaggio l’elmetto guglielmino, che ricorda il regime militaristico prussiano. Il potere agrario si colloca sulla falsariga di quello militare.
Il potere commerciale, la cui “r” moscia sembra alludere all’eloquio di Gianni Agnelli, è rappresentato da una tigre. Astuta e calcolatrice tende a cercare la via del freddo compromesso che mira alla salvaguardia dei propri interessi e privilegi.
L’apparizione delle fiere è un vero e proprio leitmotiv. Infatti queste compaiono ripetutamente; intervallano i diversi capitoli del film, sono messe in evidenza dall’uso del colore; rappresentano il potere che, nel corso del tempo, è sempre lo stesso. Il rischio di una lettura riduzionistica e quindi deterministica ci sembra evitato proprio grazie alla parodia.

Il film è composto da cinque episodi in bianco e nero, che ripercorrono la storia del potere. Nel primo episodio, l'età della pietra, connivente la paura, il potere finisce nelle mani di un furbo che si fa passare per divinità del fuoco. Nell'epoca romana, per vincere l'insorgente coscienza dei plebei, deve ricorrere all'assassinio del tribuno Tiberio Gracco. Nell'epoca del Far West, per aumentare la propria potenza, non rifugge dal genocidio perpetrato da coloni, soldati e galeotti inglesi. Nell'Italia posteriore al 1919, il potere viene arraffato dal fascismo, che ottiene l'appoggio dei portafogli borghesi, la benedizione, ben compensata dal Vaticano e che distrugge pluralismo e libertà democratiche. Nell'epoca moderna, il neocapitalismo s’impone mediante il consumismo, incontra forti resistenze popolari, vinte però grazie alle forze dell'ordine e al paravento socialista (“Chi non lo sa che ai giorni nostri ogni furfante vuole padroneggiare in un vestito rosso?” dice Lenin).
In particolare, il capitolo del fascismo è il più significativo per la sua forza dissacrante e parodistica. A Tretti interessa collocare il fascismo nei quadri del potere borghese, analizzandone le origini. La tesi del regista è che i poteri forti si servono del fascismo in funzione antirivoluzionaria e antisocialista per ristabilire l’ordine e la pace sociale. Simbolico è in questo senso l’episodio della marcia su Roma, dove un piccolo e nervoso Vittorio Emanuele II aspetta alle porte della capitale una sgangherata banda di camice nere, a cui si rivolge dicendo: “Avanti, avanti entrate, non fate complimenti”. Questo dimostra la convenienza anche da parte del re, della presenza di Mussolini al potere. La dittatura fascista rivela ben presto il suo carattere velleitario. Emblematico è l’intento di dimostrare l’efficienza delle forze armate attraverso la parata di una dozzina di anziani e scombinati poveracci che sfilano continuamente, via via trasformandosi in alpini, bersaglieri, carristi, arditi, granatieri. Con l’immagine di un’Italia guerriera e duratura, il fascismo cerca il consenso di massa.
Un altro elemento che emerge in quest’episodio è l’atteggiamento repressivo verso le opposizioni, per Mussolini, un “delitto contro lo stato”.
Le diverse opposizioni non sono tuttavia uguali per i fascisti, come è evidente nella scena in cui Tretti mostra prima una “dorata” prigione di liberali, poi quella affollata e in condizioni precarie dei comunisti, gli oppositori più scomodi al regime.

TECNICHE

Il film è stato costruito in modo volutamente artigianale, proprio per contrapporsi alla cinematografia di stampo holliwoodiano. Per realizzare “Il potere”, Tretti ha impiegato sette anni, di cui sei per pensarlo e solamente uno per girarlo, essendo venuto a mancare il produttore che inizialmente doveva finanziare il progetto. Quando infine trovò i fondi necessari, poté tradurre in immagini il suo pensiero. Il film è stato girato nell’area veronese con l’ausilio di pochi mezzi; gli attori, dalle facce di per sé eloquenti e dai tratti volutamente marcati, sono stati reclutati dalla campagna veneta. Questi personaggi sono l’emblema di un potere che nel corso del tempo è sempre lo stesso. Pochi attori interpretano ruoli diversi nel corso dei vari capitoli, come ad indicare che dietro le varie manifestazioni del potere stanno sempre gli stessi protagonisti. I personaggi ci ricordano le maschere di uno spettacolo di burattini; Tretti ci suggerisce velatamente che tutti i protagonisti che si susseguono nel corso del film sono strumenti nelle mani dei detentori del potere economico.
La maschera di Mussolini ne è un esempio lampante: è un fantoccio dai tratti caricaturali e ridicoli, che viene gettato via dalle tre belve che proclamano con tono sprezzante: “Questi burattini non ci servono più a nulla”. Tretti fa sua la lezione di Bertolt Brecht, da cui riprende l’arma del grottesco. La realtà viene stravolta in modo consapevole per invitare lo spettatore alla riflessione e per mantenere sempre vive le sue capacità critiche. Il regista non vuole che il pubblico si immedesimi nella rappresentazione, ma che rimanga sempre presente a sé stesso, essendo così in grado di valutare ciò che osserva. L’osservatore è quindi distaccato e portato spesso anche alle risate più genuine da scene di un’eccezionale violenza dissacrante che denunciano la faciloneria e la cialtroneria che stanno dietro la pomposità, la retorica, il gesto alato: ricordiamo il tentativo del “sommo” poeta Gabriele D’Annunzio di spiccare un temerario volo con l’aiuto di una “leggiadra” Eleonora Duse (più simile ad un barilotto che a una statua greca…). Il suo aereo rischia di sfasciarsi ancor prima del decollo, nonostante i ripetuti tentativi del poeta di farlo partire. D’Annunzio sbatte i piedi nervoso e, isterico, chiama la compagna, che è costretta a spingere la sgangherata carcassa per riuscire a farle prendere il volo.

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I RISCHI DELLA DEMOCRAZIA

I rischi della democrazia sono messi in luce dall’ultimo episodio del film, “epoca moderna”. Le tre belve, i simboli del potere, si rendono conto che un personaggio come Mussolini non serve più a nulla nella società di oggi. Ora il potere si esercita all’interno del sistema democratico attraverso il condizionamento massmediatico degli stili di vita. E’ il conformismo che produce i nuovi idoli moderni, come l’automobile, che viene pubblicizzata dall’alto degli scalini di una chiesa verso una folla in atteggiamento adorante. “L’uomo senza macchina è un uomo morto”, “sacrificate lo stipendio”, proclama il “sacerdote” dei consumi di massa. Il rischio di un regime come la democrazia rappresentativa è che l’opinione pubblica venga manipolata. La pubblicità è la prova che sia effettivamente possibile manovrare i cervelli. Il pubblico infatti non si lascia imbrogliare da informazioni palesemente distorte, ma piuttosto da sottili “bombardamenti” quotidiani, i messaggi pubblicitari, che hanno lo scopo di inculcare un determinato stile di vita. La forza della pubblicità è rappresentata da Tretti nell’episodio del “Moblon”: un’oggetto privo di qualsiasi utilità, proposto in continuazione da radio, televisione, manifesti nelle città… che si afferma come tendenza, come moda irrinunciabile. E il suo acquisto diventa quasi un obbligo.

E’ quindi la democrazia rappresentativa un regime che garantisce la libertà sostanziale ai cittadini? Secondo Tretti la risposta è negativa, la libertà e l’uguaglianza sono solo “maschere” di una più profonda disuguaglianza: il benessere ai giorni nostri, nel film simboleggiato dalla produzione in serie delle uova, viene deriso dal regista. “Oggi al mondo si sta bene, c’è sovrapproduzione e non si sa più a chi vendere i prodotti” dice l’industriale con a fianco un vescovo accondiscendente che elargisce benedizioni. Immediatamente dopo Tretti ci mostra una carrellata di immagini dal terzo mondo, di bambini morenti e affamati: è l’ultima stoccata beffarda all’indirizzo di una società capitalista che il regista ritiene decisamente ingiusta e falsa, dominata sempre dai soliti, pochi potenti.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie